La confessione di San Patrizio


La Confessio può essere considerata, senza remore, il testo – faro che illumina la storia di Patricius, agiato adolescente della campagna britannica, rapito da barbari pirati irlandesi che ne fecero loro schiavo. Patrizio ci fa intuire in molte occasioni di essere originario della Britannia: nella Confessio stessa addita esplicitamente i parentes , come britannici.

Mosso dal bisogno, la fame e il freddo della schiavitù lo spinsero a pregare (fino a centinaia di preghiere durante un giorno, recita il testo) ed ad affidarsi al Dio cui dedicherà la sua intera vita terrena. Anche se, per sua stessa ammissione, era nato cristiano; non aveva mai prestato troppa fede a ciò che gli era stato inculcato.

Dopo sei lunghi anni di doloroso esilio in Irlanda, la voce di Dio si rivelò dentro di lui per incitarlo alla fuga. Così Patrizio si incamminò verso il sentiero della fede.. Raggiunto il mare nella sua fuga solitaria, trovò un passaggio per il Continente su una nave che commerciava mastini irlandesi, all’epoca molto richiesti. Come per ogni buon racconto biblico Patrizio magicamente mostrò dei soldi con i quali poteva pagare il trasporto. Dopo tre giorni di viaggio, raggiunsero il Continente (la Gallia?) e trovarono solo un “desertum“. Perché quest’abbandono in una terra ricca di insediamenti e di prosperità? Che si tratti del 407, anno in cui il ghiacciarsi del Reno permise alle orde germaniche di saccheggiare la Gallia? Non ci è dato saperlo, ma il dato è inconfutabile: il mondo romano, per come era conosciuto, era sull’orlo del precipizio. E qui giace la nostra prima sfida esegetica: ancora una volta una fonte non storiografica, potrebbe confermare e rilanciare una verità storica.

Ad ogni modo, quel che più preoccupava Patrizio e l’equipaggio era l’assenza di qualsiasi forma di cibo. Perfino i cani, preziosa merce da vendere, stavano rapidamente morendo. I barbari lo scherniscono: Et alio die coepit gubernator mihi dicere ‘Quid est, Christiane? Tu dicis Deus tuus magnus et omnipotens est. Quare ergo pro nobis orare non potes? quia nos a fame periclitamur. Difficile est, enim umquam ut aliquem hominem uideamus.” La risposta di Patrizio, sincera e diretta, smosse un briciolo di speranza e di fede in quegli affamati marinai, e il Signore mandò loro incontro un branco di maiali. Tornato finalmente a casa, in Britannia, Patrizio scrive nella Confessio con una commovente allocuzione di come il suo futuro non fosse più legato a quella terra, bensì a quella che lo aveva visto schiavo: l’Irlanda.

Anche per San Patrizio, la tematica del sogno di costantiniana memoria compie il volere di Dio: “Rogamus te, sancte puer, ut uenias et adhuc ambules inter nos”. Così gli irlandesi nel sogno, resero di Patrizio il primo missionario cristiano dopo San Paolo, almeno stando alle parole nella Confessio,. E questo non sarà il suo unico primato, perché Patrizio sarà l’unico evangelizzatore che si spinse oltre i confini ecumenici (in senso classico) ove l’unico diritto che valeva era quello della spada. Lo stesso Tommaso, che si spinse fino in India, ebbe a che fare con una civiltà tutto sommato semi – civilizzata, rendendo così Patrizio un vero precursore della Cristianità e della storia tutta. E di questo Patrizio fa sfoggio mirabilmente nella Confessio: “(…)quia quotidie spero aut internicionem, aut circumueniri, aut redigi in seruitatem, siue occasio cuiuslibet fieri.” Un po’ per dirci che l’Irlanda non era solo una società pagana, ma anche profondamente e radicalmente barbarica. Maliziosamente potremmo dire che Patrizio esalta volontariamente la rozzezza di questo popolo, per esaltare il suo successo di evangelizzazione.

Eppure, qualcosa non convince: proprio nell’epistola Patrizio stesso rivendica l’autenticità della missiva dicendo “Manu mea scripsi atque condidi uerba ista“. Questo ha fatto personalmente sorgere il dubbio che possa essersi avvalso di copisti e discepoli per sbrigare pratiche “meno importanti” della questione trattata nella lettera. Come a voler sottolineare l’importanza dell’argomento. L’ipotesi che la Confessio possa essere stata scritta postuma da un fedele discepolo è plausibile. Ed è ovvio che ai fini della ricostruzione biografica della vita del santo è essenziale capirne l’origine, eppure sotto molti punti di vista questa informazione è del tutto ininfluente. Sia che l’autore possa essere lo stesso Patrizio od un suo discepolo le finalità storiche contingenti non mutano, così come non muta il contesto cronologico in cui è stato scritto(se non di qualche anno). Impensabile è, per esempio, poter credere che il testo possa essere stato scritto molto tempo più tardi, sfruttando le notizie disseminate negli annali irlandesi (che, come vedremo, spesso si contraddicono). E’ chiaro, dunque, che l’autore della Confessio e quello dell’Epistola coincidano: perfino dopo una sola, superficiale lettura è palese come le preoccupazioni che hanno spinto il primo a scrivere siano le medesime del secondo.

Vogliamo, innanzitutto, comprendere le finalità più profonde della Confessio. Perchè Patrizio si dedicò alla scrittura di questo testo dal sapore vagamente apologetico?

Non potrei citare migliori parole di quelle del De Paor: “We can reasonably infer from what he says that he is responding to three principal accusations: (1) that his activity of converting the heathen was wrong or out of order; (2) that he lacked authority for what he was doing; (3) that he was acting for profit.” [1]

Ed infatti nella Confessio troviamo molte esplicative frasi a riguardo, tra tutte eccone un esempio:”(…)ut audirem obprobrium peregrinationis meae, et persecutionis multas usque ad uincula, et ut darem ingenuitatem meam pro utilitate aliorum.”

Un lato molto interessante della “Confessio” non è mai stato criticamente affrontato: in più di un occasione, infatti, Patrizio fa riferimento alla sua mancanza di cultura e alla sua poca padronanza del materiale biblico. Pertinente a quanto affermato:

“(…)qui respexit humilitatem meam et missertus est adoliscentiae et ignorantiae meae(…)”, e ancora: “Tamen, etsi in multis inperfectus sum” ed infine il passo, forse più significativo in tal senso ove Patrizio giustifica la sua titubanza a scrivere la Confessio: ” Timui enim ne incederem in linguam hominum, quia non dedici sicut et caeteri qui optime itaque iure et sacras literas utroque pari modo combibetur(…)”.

Sono excerpta da non sottovalutare, piuttosto da valorizzare ed analizzare. Perché un vescovo cattolico, per di più con un’autorità minata dagli stessi suoi fedeli deve reiterare la sua ignoranza e sottolinearla?

Una possibile interpretazione potrebbe includere la volontà del santo di mostrarsi al lettore in tutto il suo lato umano. Così facendo, viene investito da un’aura di simpatia che dura tutt’oggi: lontano dagli apologeti cristiani e dall’inaccessibilità culturale degli scritti ecclesiastici, Patrizio si propone come un modesto predicatore; un tentativo, maldestro ma probabilmente efficace, di ritrarsi come un grezzo barbaro di nascita, ma nobilitato da Dio. Pertanto non solo vorrebbe presentarsi come straordinario strumento divino, ma soprattutto come un tramite privilegiato con Cristo, che in lui ha operato uno straordinario progresso interiore, molto più che in altri santi. Ed è forse per questo che i dettagli autobiografici non abbondano: San Patrizio non vuole distogliere l’attenzione del lettore con futili questioni legate alla sua vita materiale.

In un certo senso, è come se ribaltasse la sua negativa condizione natale di semi – barbaro. In questa direzione si muovono alcuni appunti che Patrizio fa nel testo, quasi a giustificazione della sua misera ignoranza che, sicuramente, era stata più volta messa a confronto con gli illuminati apologeti e dottori della Chiesa del suo tempo <(…)scriptum est “linguae balbutientes uelociter discent loqui pacem”(…) sed ratum et fortissimus scripta in cordibus uistris non atramento sed Spiritu Dei uiui.>; come appunto ad indicare che le sue parole e le sue azioni sono dettate dal cuore, non dalla volontà di apparire sapiente. E per rivendicare questa virtù si appella a excerpta biblici che si riconoscono in Isaia 32,4 e Atti 13,47.

Se non volessimo abbandonarci ad un San Patrizio cinico e superficiale possiamo sempre giocare la carta di un ulteriore plausibile ipotesi. L’autore della Confessio potrebbe aver esaltato la sua origine umile e tornita di ignoranza per rendere “accessibile a chiunque” la fede cristiana, anzi la sua profonda e mistica fede cristiana. Non a caso, nella Confessio, Patrizio fa proferire agli affamati barbari che lo accompagnano nel suo viaggio queste poche, ma fondamentali parole “Quid est Christiane? Tu dicis Deus tuus magnus et omnipotens est. Quare ergo pro nobis orare non potes?“. E la risposta viene affidata infatti ai fatti che seguono: i barbari verranno salvati dalla carestia. In questo senso dunque Patrizio cerca di valorizzare uno dei punti forti della nuova religione rispetto al paganesimo: la salvezza è accessibile a tutti, perfino ai barbari pagani: “Ciò che vide lo convinse del lato luminoso del cristianesimo, ossia che persino i mercanti di schiavi possono diventare liberatori, gli assassini comportarsi da portatori di pace e il barbaro trovare il proprio posto al fianco della nobiltà celeste”.[2]

Così diverso dai Padri della Chiesa, così dotti e misticamente sapienti, Patrizio sembra aver colto alcuni concetti che poi saranno propri della poetica Agostiniana. Egli, nonostante le auto-apologie disseminate nel testo, riesce a carpire la chiave di volta di un cristianesimo ancora molto acerbo. Se vogliamo precorre la dicotomia agostiniana tra Città dell’uomo, mera illusione corrotta dal peccato e la Città di Dio, fonte di eterna salvezza. Nell’Epistola, biasimando i soldati di Coroticus, Patrizio riesce a incapsulare in parole di facile comprensione un concetto di altissimo valore teologico: Ubi se uidebunt, qui mulierculas baptizatas et praedia orphanorum spurcissimis satellitibus suis premia distribuunt ob miserum regnum temporale, quod utique in momento transeat sicut nubes uel fumus, qui utique uento dispergitur”.

Il racconto commovente delle peregrinazioni del santo smuovono alcune tematiche importanti che devono essere analizzate. La storia di Patrizio, agiato ragazzo della campagna britannica, strappato agli lussi della vita facoltosa per essere ridotto in schiavitù, ricorda da vicino alcune parabole bibliche e tocca profondamente l’animo del lettore. In esso, Patrizio cerca di indirizzarci a considerare la vita non come una ricerca sfrenata di comodità, ma come un investimento verso la speranza della salvezza eterna. Il Santo non ci propone alcuna vana consolazione, se non la fede in Dio. E questo messaggio, colorato di universalità, è rivolto ai ricchi (che potrebbero, come Patrizio, perdere tutto da un momento all’altro) e ad i poveri (che devono affidarsi alla speranza della fede). Pertanto, se pure non si voglia considerare i rocamboleschi avvenimenti narrati nella Confessio come veritieri, sicuramente restano paradigmatici per la vita di ciascuno di noi e aggiungerei anche molto attuali. L’universalità del messaggio è costretta nei confini netti della predestinazione divina: Dio ha deciso, per ciascun uomo, il suo destino. Ed ogni avvenimento narrato nel testo è concatenato al precedente ed al successivo, come fosse parte di un disegno divino prestabilito per Patrizio come per ogni altro essere vivente. “Ecce, nauis tua parata est” dirà un ispirato Patrizio, forse alludendo ad una salvifica nave in attesa dalla nascita di ogni individuo. Non mi sottraggo dal dire che, sotto questo punto di vista, Patrizio ha molto in comune con la dottrina protestante.

Per il sottoscritto, dunque, cogliere nelle parole del santo una sorta di “popolarizzazione” della religione è stato fin troppo ovvio: dalle pagine della Confessio esce un umile Patrizio, vicino al popolo in tutte le sue sfaccettature, o che comunque vorrebbe apparire tale. E’ suggestivo pensare che la leggenda del trifoglio, come semplice metafora della trinità, possa essere nata proprio in funzione di questa banalizzazione della religione. Ed il fatto che, con la lettera, voglia discolparsi da molte, non molto chiare per la verità, accuse è sintomatico di questo atteggiamento.

Note

[1] L. De Paor, Saint Patrick’s world, Four Court Press, Dublin 1993, p.91

[2] T. Cahill, Così gli irlandesi salvarono la civiltà, Fazi Editore 1997, p.121

Attenzione ogni riproduzione è vietata senza previo assenso del sottoscritto.

2 pensieri su “La confessione di San Patrizio

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