Elezioni UK 2015: analisi del voto & conseguenze.


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I sondaggisti britannici si stanno cospargendo il capo di cenere. Se i media britannici terranno il solito, ammirabile atteggiamento del ‘chi sbaglia paga’, molte teste rotoleranno nelle prossime ore.
Centinaia di sondaggi commissionati ed effettuati finanche alla vigilia del voto puntavano sostanzialmente su un pareggio  tra le due maggiori forze politiche britanniche,  prospettando così lo spettro del parlamento appeso.

Gli exit poll, in serata, già correggevano il tiro e viravano verso la riedizione del governo di coalizione Conservatori – Libdem. Non c’è la maggioranza assoluta, Cameron dovrà rispolverare Nick Clegg come vice.
Infine lo tsunami dei risultati veri e propri: i Tories sfondano la quota 325 seggi, necessaria per governare senza obblighi di coalizione. Scongiurato il rischio di parlamento balcanizzato.

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Dal 1992 i Conservatori non vedevano una maggioranza così solida (anche se poi, di fatto, i seggi in ‘più’ sono soltanto una manciata). Si rievocano vecchie figure e i governi d’acciaio del passato: Margaret Thatcher, John Major.

I liberaldemocratici crollano invece sotto il peso schiacciante del tradimento politico. Alle elezioni del 2010, il partito si era proposto come alternativo al tradizionale bipolarismo britannico, raccogliendo un numero gigantesco di consensi  (più del 20%), soprattutto tra universitari e delusi del ciclo laburista. Clegg e i suoi sono però poi finiti a soccorrere la maggioranza zoppa di Cameron, votando leggi che il giovane elettorato dei liberali non hanno evidentemente digerito (su tutte l’aumento vertiginoso delle tasse universitarie).

Un Nick Clegg dimissionario raccoglie oggi i frutti di quella che oltremanica è stata definita ‘political prostitution’. Tanto più che durante la campagna elettorale 2015, Clegg  rassicurante strizzava l’occhio ai vecchi partner di governo senza però escludere di poter far da stampella ad un eventuale maggioranza relativa laburista.

Quasi il 14% dei voti popolari e la bellezza di 48 seggi sono stati smarriti dai liberaldemocratici. Difficile dire dove siano andati: tra i giovani universitari sono andati molto bene i Verdi (+2,8%) ma è plausibile che molti abbiano abbandonato i Libdem per tornare a votare laburista.

Deludente pure il risultato complessivo del fenomeno politico britannico degli ultimi anni, soprattutto alla luce della straordinaria performance delle elezioni europee dello scorso anno. Anche se i sondaggi avevano preannunciato un forte ridimensionamento dell’UKIP, certo non ci si aspettava una resa elettorale così bassa (un solo seggio in tutto il paese).

Il dato sull’UKIP da non sottovalutare resta comunque la ragguardevole soglia raggiunta in termini di voti assoluti: il 12,64% dei britannici (quasi 4 milioni di elettori) hanno dato la loro preferenza al Partito per l’Indipendenza Britannica. Il sistema elettorale, uninominale maggioritario a turno unico, ha pesantemente limitato il numero di seggi dell’UKIP a favore invece di quelli conservatori.

Un partito che certamente non è stato penalizzato nell’assegnazione di seggi è stato certamente lo Scottish National Party (SNP). Caso politico di straordinaria importanza, lo SNP ha risollevato la testa dopo la sconfitta al referendum costituzionale dello scorso settembre. La Scozia sarà pure rimasta parte integrante del Regno Unito, ma il partito indipendentista ha cumulato un numero impressionante di seggi nazionali: 56 dei 59 seggi scozzesi della House of Commons appartengono oggi allo SNP con solo il 4,7% nazionale.

La carismatica vittoria del partito di Nicola Sturgeon eclissa paradossalmente quella di David Cameron. Mai era successo che un partito indipendentista locale diventasse maggioranza assoluta in uno dei 4 paesi costitutivi del Regno Unito. Se lo SNP ha raggiunto più del 50% dei consensi popolari in Scozia, l’omonimo gallese, l’indipendentista Plaid Cymru, è rimasto ancorato al 12% in Galles (3 seggi).

E poi c’è lui. Il grande sconfitto. Ed Miliband. C’è chi lo accusa di non essere stato incisivo, chi invece critica l’Ed pensiero, quasi ai limiti del socialismo reale. Se si può concedere al Labour l’onore delle armi per quel 30% raggiunto nei consensi popolari, il numero di seggi resta davvero troppo esiguo per poter mettere in serio pericolo il governo che si sta formando in queste ore.

Cameron ha vinto. C’è chi scommette, tuttavia, che il suo governo sarà l’ultimo del Regno Unito prima della dissoluzione. Se è vero che l’appoggio dell’indipendenza non coincide con il consenso dello SNP, è pure vero che la straordinaria vittoria degli indipendentisti avrà ripercussioni gigantesche sull’equilibrio politico del paese tutto.

Il nuovo-vecchio Prime Minister ha già promesso di implementare la devoluzione scozzese per calmare gli animi più irriducibili al di là del Vallo: un mantra che va ripetendo da qualche anno, ma che ancora non trova realizzazione.

La Scozia non sarà l’unico problema di Cameron. Per saccheggiare i voti più moderati (si fa per dire) dell’UKIP, ha promesso un referendum sull’adesione del Regno Unito alla Comunità Europea. I media stanno già diffondendo il pericolo della Brexit (Britain Exit) e si dovrà far coincidere gli interessi della Scozia (filo europeista) con quelli dell’Inghilterra (euroscettica).

Certamente non è incoraggiante per Cameron il pensiero di avere quattro diversi partiti politici (Conservatori, SNP, Laburisti e DUP) maggioranza nelle quattro nazioni costitutive del Regno Unito (rispettivamente Inghilterra, Scozia, Galles e Nord Irlanda).

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